di Marina Buffoni – Da anni si combatte una battaglia silenziosa: la richiesta di revisione della pensione di reversibilità a tutela delle donne. Per la rivalutazione delle pensioni di reversibilità al 100%, l’abolizione di divieto di cumulo dei redditi fra coniugi, il riconoscimento per la cura dei congiunti non autosufficienti. Noi donne ci chiediamo se è giusto che, dopo una vita passata insieme, molte volte affrontando sacrifici e privazioni, le donne possano usufruire del 40% della pensione in meno: è indubbio che ciò può provocare una forte scossa allo stile di vita di una famiglia, in mancanza di altri redditi complementari è insufficiente per garantire almeno delle condizioni di vita decorose alla vedova.
Il problema riguarda in particolare le donne che in larga parte hanno come unico reddito la pensione di reversibilità, dal momento che nei decenni passati la donna difficilmente lavorava fuori casa e quindi si trova nel’l’impossibilità di aver accumulato 40 anni di contribuzione. La Legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, ha apportato modifiche all’articolo 19 che disciplina l’abolizione del divieto di cumulo tra trattamenti pensionistici e redditi di lavoro dipendente ed autonomo. Viene così finalmente attuato dal legislatore il progetto di revisione della normativa in oggetto, formulato nel Protocollo sul welfare del luglio 2007.
Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2009 i trattamenti pensionistici di vecchiaia e quelli anticipati per anzianità, se liquidati con il sistema retributivo o misto saranno totalmente cumulabili con i redditi di lavoro sia dipendente che autonomo. Per effetto della nuova normativa, quindi, dal 1° gennaio 2009, anche per le pensioni contributive è previsto il cumulo totale a condizione che siano liquidate:
– con almeno 40 anni di anzianità contributiva
– oppure a soggetti con età pari o superiore a 65 anni se uomini e a 60 se donne.
Nulla cambia, invece, per i titolari di pensione di reversibilità , per i quali restano gli attuali limiti per la cumulabilità: si perde il 25%, il 40% o il 50% dell’assegno pensionistico (già ridotto al 60% rispetto alla pensione percepita dal defunto, nel caso in cui il beneficiario sia il solo coniuge) se si percepiscono redditi di qualsiasi natura che eccedano di tre, quattro o cinque volte il trattamento 3 minimo INPS.
Una battaglia che non può aspettare ancora, una guerra dove le vittime sono ancora la famiglia e le donne.