di Alessandro Nardone – Affidereste la ricostruzione della vostra casa a chi ne ha minato le fondamenta causandone il crollo? Non credo proprio, e ci mancherebbe altro. Ecco, per quanto riguarda il dibattito relativo alla ricostruzione della destra, riteniamo che valga il medesimo principio. Proprio così, perchè il problema non è il dito, ovvero la carta d’identità, ma la Luna, ergo il fatto che la quasi totalità degli ex Colonnelli di Alleanza Nazionale sia stata ai posti di comando della destra italiana per almeno cinque o sei lustri, causandone la triste e indegna liquefazione che è sotto gli occhi di tutti noi. Facile, oggi, caricare tutte le colpe di questa disfatta sulle spalle della salma (politica, s’intende) di Gianfranco Fini, nella speranza che, una volta buttata a mare, coli a picco trascinando con sé anche le altrui responsabilità.
Badate bene, lungi da me volermi avventurare in una difesa postuma dell’ex leader di An, anche perchè credo che la mia opinione in merito sia arcinota ma, personalmente, trovo quantomeno irritante la sfilza di dichiarazioni di stampo cielodurista da parte dei redivivi ex Colonnelli alla spasmodica ricerca della verginità perduta.
Guarda caso, oggi che si discute sull’opportunità di “rifare la destra”, sono tutti diventati paladini dell’antifinismo militante eppure, se la memoria non m’inganna, non mi pare di ricordare anche soltanto una dichiarazione che osasse mettere in discussione il verbo proferito dal Capo, ai tempi di An. Figuriamoci, se ne stavano tutti sull’attenti, pronti a redarguire qualsiasi accenno di contestazione che arrivasse dalla cosiddetta base; ricordo perfino alcuni “scappellotti paterni”, che partirono all’indirizzo di quei giovani che osarono fischiare Fini mentre parlava di voto agli immigrati. Sarà tutto frutto della mia feconda immaginazione?
Fatto sta che l’unico che ebbe gli attributi per distinguersi trovando il coraggio di mandare al diavolo Fini, Colonnelli e poltrone fu Francesco Storace ché, proprio per questo motivo, negli anni a seguire fu letteralmente osteggiato in tutti i modi da quegli stessi ex amici che oggi, chissà perchè, gli tendono la mano. Ovvio che, per me, lui stia su tutt’altro piano rispetto agli altri.
Detto questo, come ho già avuto modo di affermare nel mio “La destra che vorrei”, il nostro non è semplice giovanilismo, ma la convinzione che una stagione si sia definitivamente conclusa e che si debba necessariamente aprirne una nuova. D’altra parte, se vogliamo, la batosta subita da Gianni Alemanno rappresenta una sorta di nemesi per quella generazione di dirigenti, la cui parabola politica è terminata allo stesso modo in cui cominciò, ovvero con una sconfitta alle elezioni amministrative della Capitale. Destino cinico e baro, penserà qualcuno.
Quello che vogliamo, senza presunzione e con il massimo rispetto per le persone, è archiviare il passato e con esso tutti i suoi rancori, con l’ambizione di cominciare un percorso che miri a gettare il seme per la nascita di una destra che non discuta elevando confini ma che abbia, al contrario, la visione necessaria per diventare la struttura fondante del nuovo centrodestra che – questo lo sanno anche i berlusconiani più devoti – in prospettiva non potrà più essere quello di Berlusconi e delle sue truppe e che, quindi, dovrà sapersi ricostruire attorno ad una visione vincente dell’Italia. Alle idee, insomma.
Il percorso a cui abbiamo intenzione di lavorare, nel nostro piccolo, con il progetto di Avanti Italia, è quello di un movimento aperto a chiunque si senta di centrodestra, indipendentemente dal fatto che militi nel Pdl, in Fratelli d’Italia, ne La Destra o in Futuro e Libertà. La nostra ambizione? Contribuire a riunire una generazione che ha voglia di mettersi in gioco in quanto non è più disposta ad accettare di guardare all’impegno politico con lo specchietto retrovisore. Insomma, non vogliamo che nessuno sia costretto ad agire pensando: “Eh lo so, sono sempre gli stessi, ma abbiamo scelta?”.
Certo, sappiamo che la strada sarà impervia e ricca di ostacoli, e siamo altresì consapevoli di non avere i titoli per distribuire patenti a chicchessia, chiediamosoltanto a chi è venuto prima di non mettersi di traverso ma, al contrario, di accompagnarlo, il cambiamento.
Esattamente come, d’altra parte, ebbe il coraggio di fare con loro un certo Giorgio Almirante, che era perfettamente consapevole del fatto che l’esigenza di cambiamento fosse dettata non dall’anagrafe, ma dal mutamento dei tempi.
Anche perchè non rendersene conto ed ostinarsi ad agire diversamente, sarebbe come tentare di fermare il vento con le mani.